Sussidi controproducenti
Articolo pubblicato nel Corriere del Ticino – Lugano, 28 febbraio 2016
Settimana scorsa quasi tutti i quotidiani svizzeri hanno dato l’informazione che 36’700 progetti di installazione di impianti fotovoltaici (o comunque di produzione alternativa di energia elettrica) sono in coda in attesa di poter ricevere l’aiuto pubblico finanziario previsto dalla legislazione federale per questo tipo di impianti. Qualche quotidiano ha anche precisato che negli ultimi 7 anni i sussidi sono stati riconosciuti a 11’900 progetti e che per altri (quasi) 3’000 è stata presa una decisione positiva di principio, ma le procedure di approvazione dei progetti non sono ancora state terminate. Il problema, hanno scritto quasi tutti, è la mancanza di fondi sufficienti destinati a tale scopo.
Mi sono chiesto il senso di questa informazione, che solo in pochi casi è stata accompagnata da una completazione che spieghi il funzionamento di quel sistema di sussidi. Si tratta soprattutto del sistema cosiddetto “RIC” (in tedesco “KEV”) in base al quale si promette a chi investe in sistemi di produzione di energia elettrica attraverso impianti fotovoltaici (o simili negli effetti, di bassa immissione inquinante) l’acquisto dell’energia ad un prezzo maggiorato rispetto a quello di mercato. Quanto è importante la maggiorazione della retribuzione non è facilmente calcolabile, poiché essa dipende da molti fattori. Sembra, stando ad informazioni immediatamente pubblicate in internet dall’associazione mantello dei produttori di energia che si definiscono indipendenti, che si vada da maggiorazioni molto alte (fino a 23 centesimi) a maggiorazioni molto più contenute (3,5 centesimi).
Anche la (da me molto apprezzata) trasmissione Modem della RSI ha commentato la notizia: l’ho ascoltata attentamente, sperando in un complemento di informazione che analizzasse un po’ criticamente la notizia, ma la presenza di soli fautori di quel sistema di sussidiamento, accanto ad un industriale ticinese attivo nello sviluppo di interessanti evoluzioni dei sistemi alternativi di produzione di energia elettrica, non poteva permettere una critica oggettiva. A parte la recriminazione per l’insufficienza di mezzi finanziari messi a disposizione (ma non si è detto né quanti ne sono stati stanziati da Confederazione e cantoni, né quanto vorrebbero ricevere i 36’700 postulanti in coda) non ho sentito nessuna analisi sul sistema di sussidiamento. I rappresentanti del Cantone hanno però avuto l’accortezza di dare almeno alcune informazioni necessarie per inquadrare un po’ il problema: soprattutto che l’obiettivo del Cantone è di arrivare ad una produzione del 2% dell’energia elettrica necessaria attraverso sistemi di produzione alternativi.
Quindi una conclusione può essere tratta da queste prime constatazioni: attraverso il sistema di sussidiamento scelto (e le sue 51’600 domande di sussidio finora formulate) si sta lavorando per produrre quantitativi percentualmente minimi di energia elettrica. Si sa infatti che l’altro sistema di produzione di energia elettrica attraverso fonti rinnovabili, le centrali di produzione che sfruttano l’acqua, produce il 60% dell’attuale fabbisogno elvetico. E si sa pure che attualmente tutte le nostre aziende di produzione di energia elettrica soffrono per i prezzi di vendita dei kilowatt che producono, a causa di vari fattori di carattere internazionale fra i quali accanto al crollo del prezzo del petrolio spicca l’eccesso di sussidiamento tedesco degli impianti alternativi.
Ma le conclusioni dell’analisi avrebbero potuto essere ancora più interessanti se si fosse affrontato il tema delle occasioni perse dai sistemi di produzione elettrica detti alternativi nel mercato della costruzione e del risanamento immobiliare: di fronte alle 51’600 domande di sussidio quanti progetti maturati negli ultimi anni hanno rinunciato ad istallare pannelli solari o altri impianti produttivi alternativi a causa dell’elevato costo dei prodotti e quindi dell’insufficiente redditività dell’impianto? E ancora: quante aziende che hanno sviluppato nuove tecnologie di produzione di energia fotovoltaica non riescono a sviluppare una cifra d’affari sufficiente per svilupparsi in un mercato che resta troppo piccolo poiché ben pochi investono rinunciando o restando in attesa di un sussidio? Anche le migliori tecnologie non si svilupperanno mai se il loro costo non convince il mercato e l’olio di riscaldamento e il gas rimangono attrattivi.
Obiettivo dell’informazione della scorsa settimana era evidentemente quello di spingere la politica a mettere ancor più fondi nel sistema di sussidiamento, e forse molta gente si è sentita un po’ in colpa o ha considerato sciocchi i politici per la coda formatasi nell’evasione delle domande. Ma forse quella coda potrebbe essere anche un segnale d’altro tipo: un invito a lasciar perdere i sussidi (che tengono alti i costi di produzionei) ma ad investire comunque nelle nuove tecnologie di produzione alternativa di energia elettrica. Solo creando un mercato molto più grande, cercando l’attenzione interessata di tutti quelli che hanno investito senza porsi la domanda della produzione alternativa di energia elettrica o senza nemmeno ipotizzare il ricorso a dei sussidi, aiuteremo l’industria che studia ed elabora nuovi prodotti e promuoveremo in modo molto veramente efficace la salvaguardia della qualità dell’aria. I sussidi creano lobby, il mercato crea invece le svolte produttive.